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Marina di Castro, fra pesca e natura

Castro è situata nell’area delle Serre salentine.

In auto, attraverso l’A 14, raggiunta Bari, si arriva a Castro proseguendo per Brindisi e Lecce, si imbocca la SS 16 in direzione Maglie, uscita Santa Cesarea Terme – Castro.

In treno si arriva a Castro raggiungendo la FFSS di Lecce; da qui si può proseguire in autobus usufruendo del servizio di trasporti locali STP Ferrovie del Sud-Est o “Salento in treno e bus”, in funzione solo durante il periodo estivo.

In aereo si raggiunge l’aeroporto di Brindisi dal quale si potrà noleggiare un auto oppure si potrà raggiungere Lecce attraverso un servizio navetta e quindi si prosegue in autobus fino a Castro. Si erge su un promontorio a 98 m s.l.m. il cui orientamento è nord – sud. Si colloca su una formazione calcarenitica che prende il nome dal posto (Calcareniti di Castro). Castro ha il porto più vicino alla Grecia per rotte di piccolo cabotaggio, trovandosi a soli 80 Km di navigazione dall’isola di Phano, presso Corfù.

Castro è parte del Parco Naturale Regionale Otranto – S. Maria di Leuca ed è Spiaggia Bandiera Blu, riconoscimento importantissimo rilasciato dal FEE (Fondazione per l’Educazione Ambientale), assegnato al nostro Comune perché ha dimostrato una conduzione sostenibile del territorio, una buona attenzione e cura per l’ambiente. La qualità delle acque di balneazione è un criterio imperativo e il nostro mare risulta eccellente. Il porto si trova in una insenatura delimitata ad est da Pizzo Mucurune. Presenta fondali sabbiosi profondi circa 10 metri.

Castro ha sul suo territorio un patrimonio storico – architettonico – archeologico e ambientale importante e negli ultimi anni si è avvertita in maniera forte la necessità di tutelare e garantire contemporaneamente più valori legati tra loro come le presenze archeologiche, l’ambiente storico naturale e il territorio attuale. L’interazione tra l’ambiente naturale e l’azione dell’uomo ha portato alla trasformazione di questo territorio la cui tutela e valorizzazione sta consentendo una crescita dello stesso e la creazione di numerose occasioni di occupazione e sviluppo dell’economica locale.

L’insenatura di Castro, un tempo patria di innumerevoli marinai e viaggiatori, è oggi approdo di tantissimi turisti che decidono di trascorrere qui le loro vacanze in un mare cristallino, tra i resti della storia che faticosamente e con molta passione emergono, tra i muretti a secco e gli ulivi secolari, tra i lembi di antichi boschi e grotte preistoriche. Grotta Zinzulusa e Grotta Romanelli hanno scritto importanti capitoli della preistoria italiana: sono state le dimore degli uomini di Neandertal circa 69.000 anni fa.

Oggi Grotta Zinzulusa viene visitata da circa 120mila visitatori all’anno ed è sicuramente un volano per lo sviluppo turistico di Castro. Pendii rocciosi, mascherati da terrazzamenti realizzati con i tipici muretti a secco, accompagnano dolcemente lo sguardo verso il mare, patria di innumerevoli marinai e viaggiatori fin dall’antichità. E’ possibile, attraverso la suggestiva “Passeggiata delle Mura”, ammirare anche i resti architettonici – archeologici, antichi sentieri e un azzurro mare che fa da sfondo a tutto questo.

Il clima mite la qualità del suolo hanno favorito la coltivazione degli ulivi. Passeggiando nel Centro storico si incontrano la Chiesetta bizantina, l’austera Cattedrale romanica (1171), il Vescovado, il Castello con all’interno il Museo “Prof. Antonio Lazzari” e la Biblioteca, la cinta muraria e le torri spagnole, gli archi settecenteschi.

Ai piedi del promontorio, in cui sorgeva il centro messapico, si trova il vecchio porto della città: Porto di Enea. Questa denominazione deriva dal fatto che Virgilio, nel terzo libro dell’Eneide, fece approdare proprio in questa insenatura il mitico eroe Troiano in fuga da Troia. Gli scavi archeologici diretti dal prof. Francesco D’Andria dell’Università del Salento hanno accertato la presenza di un tempio dorico dedicato ad Atena.

Tutta l’area circostante il porto è riparata dai venti provenienti da settentrione, mentre è esposta ai venti meridionali prevalenti durante i mesi invernali. In una prima fase fu sfruttata una grande fenditura naturale, oggi denominata Porto di Enea. Li si riversavano le acque provenienti dal “Canale”, antico letto di fiume prosciugato. In una seconda fase il Porto di Enea fu affiancato da un’opera artificiale denominata Porto Nuovo.

Lungo tutta la costa di Castro sgorgano numerosissime sorgenti di acqua dolce che rendono particolarmente cristallino il mare. Una delle sorgenti più importanti sgorga nel Porto di Enea e in passato questa venne utilizzata dai pescatori di Castro per riempire le proprie bottiglie d’argilla, gli “ozzi”.

I piccoli navigli ancora oggi, come in passato, sostano nell’area antistante Castro durante le giornate con forti venti settentrionali. E’ l’unica insenatura che da Santa Maria di Leuca a Otranto consente questo. I frammenti di anfora di età ellenistica ritrovati nell’area del centro storico di Castro come anche i ceppi d’ancora di piombo e altri frammenti di anfora databili al III-II sec. a.C. ritrovati nel fondale marino antistante il porto fanno ipotizzare a intensi movimenti di merci e di persone in questo lembo di mare.

Molto importante è il Parco delle Querce che costituisce una delle ultime testimonianze ben conservate delle leccete che un tempo caratterizzavano la vegetazione spontanea della Terra d’Otranto. All’interno vi è un pittoresco sentiero e l’area è attrezzata per il tempo libero, i pic-nic ed è provvista di parco giochi per i bambini.

Lama Canali, Lama Masseria San Nicola, Canali, Canalone, tanti i nomi per indicare l’ampia depressione che taglia l’altopiano della costa di Castro rompendo la monotonia degli alti versanti sull’Adriatico.
Il Canalone è uno dei tanti solchi, che originati da imponenti fenomeni geologici, tagliano trasversalmente la costa assumendo un caratteristico aspetto a canale. E’ facile osservarli lungo tutta la costa, per esempio a Badisco, all’Acquaviva, Tricase, Ciolo, ecc..

Quello di Castro è il più importante per complessità e continuità dell’insediamento umano. Dalla preistoria ai giorni nostri, infatti, il suo versante di levante è stato frequentato in ogni fase della civiltà. Dagli abitanti della Romanelli (ben più arcaici di quelli che abitarono le grotte di Badisco), ai primi utilizzatori del bronzo, e poi i colonizzatori cretesi e greci, le popolazioni indigene dei Messapi, su questa sponda ogni età dell’uomo ha lasciato un segno.

Col termine Canalone, difatti, si dovrebbe comprendere un intero sistema naturalistico e di insediamento umano che comprende livelli a loro volta notissimi e ognuno preso singolarmente di eccellenza. Le fortificazioni arcaiche e medievali dell’acropoli dell’attuale Castro, i luoghi virgiliani dell’eroe Enea, l’insediamento rupestre e poi quello balneare di Castromarina, il porto romano e quello moderno, il parco naturalistico e il bosco Scarra e l’alveo stesso di scorrimento delle acque piovane.

Come per tutti i luoghi situati sulla costa, anche per Castro la pesca ha rappresentato per lunghi anni la principale fonte di sostentamento dei suoi abitanti ed ha, per questo, una lunga tradizione. L’esistenza delle antiche Pescarìe feudali (luoghi sulla terraferma che il conte dava in affitto ai pescatori) risalenti al 1600, sono la testimonianza di un’attività importante per il paese ed evidenzia che all’epoca era difficile permettersi l’acquisto di una barca.

La pesca era un’attività che non coinvolgeva solo gli uomini del paese, ma anche le loro mogli e le loro figlie; esse, infatti, si occupavano della preparazione delle esche e soprattutto della riparazione delle reti che si laceravano durante le battute di pesca, utilizzando un’acuceddhra (una spoletta), filo di canapa o di cotone anticamente e di nylon più recentemente.

Fino a circa quarant’anni fa il mestiere del pescatore si tramandava da padre in figlio; oggi sono sempre meno i pescatori che svolgono questo faticoso e imprevedibile mestiere. Le tecniche e le attrezzature, come in tutti gli altri settori, sono mutate e migliorate nel corso degli anni, ma resta comunque un mestiere logorante e poco remunerativo a causa della diminuzione costante del pescato nelle nostre acque.

Esistono diversi tipi di pesca, impiegati a seconda della stagione o del tipo di pesce da catturare nei vari periodi dell’anno. Qui ne riportiamo alcuni.

1) U Conzu (il Palamito) è una tecnica che prende il nome dall’attrezzo utilizzato per la pesca; esso è costituito da migliaia  di ami (palamàre) uniti ad un’unica lenza (lattèra). A seconda del tipo di pescato, variano il tipo di esca, la dimensione della lenza e la dimensione degli ami. Armare u conzu è un’operazione delicata che richiede molta attenzione a causa della molteplicità di fili presenti. Gli ami vengono conficcati nei pezzi di sughero posti intorno alla coffa di giunco (vasca che contiene il tutto). Con la coffa sull’imbarcazione, se cala ù conzu, o anche più di uno e quando si termina, si torna indietro e si tira tutto nella barca. L’esca (isca) utilizzata può essere il gambero, la vermara (it. vermi di mare) o il pesce azzurro.

2)  A Nascia (la Nassa) è un attrezzo antico di vimini intrecciato, utilizzato per catturare seppie, cernie, occhiate, saraghi, granseole (dial. scarceddhre) e aragoste. È formato da una strozzatura che permette alla preda di entrare attirata dall’esca, ma non gli consente di uscire. Come esca si utilizzano le sardine, le vope, gli sgombri, i sardoni. Esse si legano ad un’estremità con una pietra per farle andare a fondo e dall’alto si mette un segnale per poterle ripescare.

3)   I ‘Nthramacchiati (it. Tremaglio), variano la grandezza delle maglie della rete in base alla grandezza del pesce a cui si è interessati (pupiddhri, masculari, ecc…). Si utilizzano, quindi, reti con diverso nome e caratteristiche. Ci sono i ‘ntramacchiati propriamente detti (alte circa 1 mt e lunghe 60/70 mt).

La Tremaglia si chiama così proprio perché costituita da tre reti: quelle esterne con maglie più grandi e quella centrale con maglie piccole. In questo modo, se un pesce grande entra nella prima rete, rimane impigliato e viene catturato; allo stesso modo, la rete centrale riesce a catturare i pesci di dimensioni inferiori. Ci sono poi gli altri titi di rete: l’oparizzi, a tartana, e motulare.

La Tartana, con maglie piccole è stata vietata anni fa perché catturava il pescato più piccolo, distruggendo la flora acquatica del luogo. Le motulare sono alte circa 10 metri, si calano formando un cerchio e si utilizzano per pescare sgombri, occhiate, cefali o palamite). Esse si possono calare a ‘mpanna (a pelo d’acqua), a media profondità oppure a’nfunnu (in profondità). Quando si tirano su le reti, viene oggi utilizzato un verricello (sarparete), in passato, invece, era tutto manuale e, quindi, molto più faticoso.

4)    A Chianci è una tecnica notturna effettuata con l’utilizzo di una barca madre, detta chianci ed altre barche, in genere tre, di dimensioni inferiori. Su di esse sono poste due lampade (lampàre) che attirano i pesci sotto di loro e si dispongono a distanze regolari dalla barca grande.

Una volta che il pesce si è raggruppato, due delle barche piccole si avvicinano alla chianci e spengono le lampàre; la chianci cala una rete molto lunga attorno all’ultima lampàra rimasta accesa, impedendo così la fuga dei pesci. Il pescato viene poi riversato nella barca-madre.

Con questo tipo di pesca si attiravano soprattutto sardine, sgombri e acciughe. Prima del 1940 le lampade adoperate per la pesca erano a petrolio, poi furono introdotte quelle con accumulatori ed infine, si arrivò all’utilizzo dei gruppi elettrogeni.

5)   La pesca a calamari; dalla barca in movimento viene calata una lenza con all’estremità una ronca con l’esca. Il pescatore tira a forti strappi il filo finché il calamaro non abbocca.

6)   A Caloma, utilizza una piccola barca, sulla quale viene creata una piccola vela posta su tre canne. Ci si fa portare via dal vento, gettando man mano in acqua gli ami legati alle lenze, circa uno ogni 3,5/4 metri. Le lenze sono lunghe circa mezzo metro e l’amo ha legato a sé un piccolo piombo. Le calome non hanno un numero fisso di ami, in genere sono 90 o 100; si pescano soprattutto le aguglie, le occhiate, gli sgombri. La lunghezza totale della caloma è di circa 300/350 metri.

bed and breakfast per un soggiorno a Castro nel salento

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